“Parlare ai giovani, alla gente, raccontare chi sono e come si arricchiscono i mafiosi […] fa parte dei doveri di un giudice. Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai”.

Mi piace ricordare così, con le sue parole pronunciate in uno dei tanti discorsi fatti nelle scuole per sensibilizzare i giovani contro la mafia, il magistrato Rocco Chinnici, ucciso quest’ultima in un torrido 29 luglio di 35 anni fa.

La sua colpa: aver combattuto cosa nostra ed aver capito che il modo migliore per farlo era la cultura, l’educazione e, dal punto di vista tecnico, l’istituzione di un pool antimafia, una struttura collaborativa fra magistrati che avrebbe poi portato alla celebrazione del primo maxi processo a Palermo.

Insieme al giudice Rocco Chinnici morirono il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato, e il portiere dello stabile di via Pipitone Federico, Stefano Li Sacchi, tutti colpevoli di aver fatto il proprio dovere.